Dalla Rivista: Irrigazione e drenaggio. Edagricole, Bologna, XXXVI, 2, aprile-giugno, 1989.
Si tratta della versione in italiano, con alcune integrazioni, della relazione "Irrigation and drainage in the writings of the early Roman authors" presentata al Thirteenth Intenational Congress on Irrigation and Drainage, Casablanca, Marocco, 1987, organizzato dalla International Commission on Irrigation and Drainage.



Irrigazione, drenaggio e sanità negli scritti dei georgici latini

Franco Ravelli - Paula Howarth



RIASSUNTO

Gli autori espongono alcune considerazioni emerse dalla rilettura degli scritti dei georgici latini intrapresa in occasione di un loro studio su "I cunicoli etruschi: tunnel per la captazione di acqua pura" per la Seconda Sessione sulla Storia della Irrigazione, tenuta nel 1984 dalla Commissione Internazionale di Irrigazione e Drenaggio presso la Colorado State University - Fort Collins, U.S.A. L'attenzione è volta al tema della irrigazione e dei drenaggio nel Lazio del I millennio a.C. durante il quale il clima, più umido dell'attuale, diviene progressivamente più arido.


SUMMARY

IRRIGATION, DRAINAGE AND HEALTH IN THE WORKS OF EARLY ROMAN WRITERS.
In this paper the authors present the results of a rereading of the works of early Roman wríters they had undertaken on the occasion of their study "Etruscan cuniculi: tunnels for the collection of pure water", presented at the International Commission on Irrigation and Drainage Second Session on History of Irrigation, held in 1984 at Colorado State University - Fort Collins, U.S.A. Attention is turned to the topic of irrigation and drainage in Latium in the 1st millennium b.C. when the climate, which was rainier then than it is today, was gradually becoming less rainy.

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L'antica tecnica di scavo di cunicoli ai fini della captazione o del drenaggio1 di acqua per uso prevalentemente potabile è tipico dei paesi del bacino mediterraneo e del Medio Oriente. Lo scavo dei primi cunicoli può essere fatto risalire, almeno per il Lazio, agli inizi del I millennio a.C. ed è proseguito in alcune località non italiane fino a pochi secoli fa.
Nel nord Africa e nel Medio Oriente i cunicoli sono tutt'ora in funzione e soggetti ad accurata manutenzione.
Nel Lazio i cunicoli sono attualmente in maggioranza secchi e solo in quale raro caso drenano portate raramente superiori ad 1 l/sec. Essi furono scavati da etruschi e latini nei banchi tufacei e pozzolanici depositati dai vulcani, già all'epoca da lungo tempo estinti, che si estendono a nord ed a sud di Roma su un allineamento parallelo alla linea del mare.
Uno studio dettagliato sui cunicoli è stato presentato dagli autori di questa nota alla Seconda Sessione sulla Storia della irrigazione tenuto dalla Commissione Internazionale per l'Irrigazione e Drenaggio (I.C.I.D.) nel 1984 a Fort Collins, U.S.A.
I cunicoli laziali si diversificano strutturalmente e per funzionamento da quelli del Medio e del Vicino Oriente e del Nord Africa.
I cunicoli che si rinvengono in Iran, Iraq, Arabia, Marocco, sono scavati ad una profondità tale da intercettare la falda anche a 20 m e oltre. Scavati generalmente lungo fondovalli più o meno ampi, questi cunicoli formano veri e propri sistemi di emungimento da strati permeabili. L'acqua captata in notevoli quantità, anche superiori a 10 l/sec, è destinata all'irrigazione di oasi a coltura ed alla alimentazione potabile di insediamenti urbani.
Di contro, i cunicoli dell'antico Lazio sono stati scavati a scopo prevalentemente potabile a piccola profondità (anche a soli 2-3 metri), su percorsi che raramente superano qualche centinaio di metri e sono stati attivati, almeno nel periodo più arcaico, al servizio di piccole comunità agricole. I cunicoli laziali non sono stati ricavati nei materassi alluvionali dei fondovalli o negli ampi coni di deiezione al piede dei rilievi montani come nel resto del bacino mediterraneo e nel Medio Oriente, ma secondo le curve di livello collinare con una pendenza appena sufficiente a consentire il deflusso verso lo sbocco a valle dell'acqua filtrata lungo le pareti e la volta. A consigliare lo scavo piuttosto superficiale dei cunicoli laziali deve essere stata la litoidicità delle formazioni geologiche più profonde, la necessità di non allontanare troppo lo sbocco in superficie del cunicolo e la opportunità di poter utilmente drenare anche le acque filtrate in occasione di eventi piovosi leggeri. Non essendo quindi in genere scavati a profondità tale da intercettare falde profonde, fu sufficiente la contrazione del regime pluviometrico verificatasi intorno al III sec. a.C. per ridurre la portata emunta a valori talmente bassi da metterli fuori uso e sconsigliare lo scavo di nuovi. (foto 1 e 2).

Fig. 1 Cunicolo di captazione idrica di Torrevecchia (periferia sud di Roma). Gli antichi cuniculi laziali, scavati lungo le curve di livello di colline od anche di semplici ondulazioni del terreno, sono individualbili in superficie per via delle bocche dei pozzi di accesso coronati da vegetazione arbustiva spontanea.

Fig. 2 Sbocco del cunicolo di captazione idrica di monte Antenne (periferia nord di Roma).

Nello studio sui cunicoli richiamato in premessa l'attenzione è stata posta sul quadro storico e archeologico nel quale tale opera và collocata. Una tavola sinottica della storia laziale antecedente la supremazia romana dà gli essenziali riferimenti cronologici ai fatti descritti.
La tecnica cunicolare è nata e si è sviluppata ad opera di etruschi e latini in concomitanza di una serie di condizioni:
Queste ed altre considerazioni sulle funzioni e sulle caratteristiche strutturali dei cunicoli laziali hanno portato gli autori a ritenere che i cunicoli siano stati scavati nel Lazio tra l'VIII ed il IV sec. a.C. per captare acqua potabile, e, solo in alcuni casi, per la bonifica di aree urbane ed agricole eccessivamente umide (opinione documentata) o per l'irrigazione di terre coltivate (ipotesi plausibile ma non documentata) (foto 3 e 4). Cunicoli per irrigazione potrebbero essere stati scavati nel periodo più tardo quando il clima volgeva verso un regime più arido.

Fig. 3 Sezione di cunicolo di captazione idrica (interrato) reso visibile da un taglio stradale (km 35 della strada Mediana Roma-Latina).


Fig. 4 Cunicolo etrusco di scolo delle acque nell'area necropolica della banditaccia vicino Cerveteri.

Lo studio tende, tra l'altro, a confutare la opinione di coloro che hanno interpretato i cunicoli come opere di bonifica igienico sanitaria eseguite dai romani per debellare la malaria.
In linea con quanto sopra, gli autori hanno proceduto alla rilettura degli scritti dei georgici latini ponendo particolare attenzione ai passaggi nei quali viene fatto più o meno esplicito riferimento al tema acqua-agricoltura-sanità.
Di fatto, se a scavare i cunicoli fossero stati i romani, sarebbe da aspettarsi una qualche citazione negli scritti dei georgici latini per i quali le relazioni tra acqua e condizioni ambientali era tema favorito per quanto concerne, sia gli aspetti sanitari (clima, bonifica, malaricità, potabilità), sia le tecniche agricole di protezione dagli eccessi e dalle carenze del regime idrico del terreno (drenaggio e irrigazione). Cosa dicono in materia gli scrittori della antica Roma?
Il primo scrittore latino a scrivere di agricoltura è stato M.P. Catone (234-49 a.C.). Nel suo Liber de Agricultura, collezione di massime empiriche di vita e di lavoro contadino, Catone ricorda l'opportunità e le tecniche del drenaggio mediante fossi aperti e fossi chiusi parzialmente riempiti di sassi o di frasche (Cap. XLIII e CLV).
A scrivere del drenaggio con tubi in terracotta è M. Vitruvio P. (I sec. a. C.), ingegnere romano operante nel I sec a.C., autore dei 10 libri del De Architettura, il più antico testo in materia a noi pervenuto (Libro VIII, Cap. VI). Vi si parla, non solo di fabbricati, ma di argomenti molto vari (idraulica, urbanistica, materiali, macchine, etc.).
Ma mentre per Catone, agronomo, l'obiettivo era quello di bonificare il terreno agricolo, per Vitruvio si trattava di una tecnica acquedottistica di captazione e trasporto di acqua ad uso civile.
La generalizzata diffusione del drenaggio tubolare in campo agricolo è piuttosto recente (nel primo Ottocento in Inghilterra con tubi in terracotta e, recentemente, con tubazione continua in plastica). Un interessante precedente pare però potersi trovare nell'uso, già in epoca romana, di tubi in terracotta innestati a maschio e femmina senza sigillante. Un dreno di questo tipo (foto 5) è stato esposto nel 1986 nel Museo della Civiltà romana in occasione della Mostra su "Acqua e acquedotti in Roma. I V sec a.C. - XX sec. "Si tratta dei due grossi tubi che gli scriventi ritengono essere gli stessi ritrovati dal Padre A. Secchi2 nel 1876 nella piccola piana immediatamente a nord di Alatri (65 Km a sud di Roma) e in mostra all'epoca nel vecchio Museo Lateranense in Roma.

Fig. 5 Tubi di drenaggio in terracotta di epoca romana trovati alla periferia di Alatri (65 km a sud di Roma) da Padre A. Secchi. Le reggette metaliche sono rinforzi moderni. I giunti erano privi di sigillante contrariamente agli acquedotti (fig. 6).

Fig. 6 Tubi di terracotta di un'acquedotto di epoca romana trovato nei pressi del Santuario del Divino Amore (14 km a sud di Roma). Notare il residuo di malta per sigillare il giunto a "maschio e femmina".

Nell'opinione del Padre Secchi si trattava di tubi di drenaggio avendoli trovati ancora in posto con intestazione a secco (senza malta). E' da ritenere che per il grande diametro (43 cm) il dreno non avesse finalità agricole ma fosse rivolto al prosciugamento di un'area troppo umida per poter essere urbanizzata o anche alla captazione di acqua ad uso potabile (tutta l'area è ancora oggi ricca di acque).
Contemporaneo di Vitruvio, visse M. T. Varrone (116-17 a.C.), uno degli uomini più eruditi del suo tempo. Pochi dei suoi scritti sono sopravissuti. Solo 3 libri del suo De re rustica sono a noi pervenuti. In tale trattato, per la prima volta nella letteratura latina, compare una chiara indicazione del pericolo malarico nel territorio di Roma (Lib. I, cap. IV e XII). Varrone cita il greco Ippocrate che già alcuni secoli prima aveva trattato della diffusione della malaria (vedi di seguito). Sul problema della irrigazione e del drenaggio Varrone dà brevi cenni sulla necessità di drenare l'eccesso di acqua (Lib. I, Cap. VI e XXIX, ma, come anche Catone, non fa menzione dei cunicoli. Tratta invece piuttosto diffusamente di irrigazione, una tecnica apparentemente diffusa a quel tempo (Lib. I, Cap. VII, XXXI, XXXIII, XXXV, XXXVI e XXXVII; Lib. II, Cap. V).
Nel complesso non pare che per gli autori dell'epoca l'irrigazione sia stata un tema di grande rilievo, ma è significativo il fatto che Varrone abbia trattato il tema con maggiore frequenza e dettaglio di Catone.
Per quanto riguarda tale apparente ritardo della diffusione della pratica irrigua nell'area laziale resta in ogni modo da chiarire in quale misura ciò sia dipeso dal protrarsi del clima umido su valori superiori agli attuali (l'inaridimento del clima inizia con il IV-III secolo a.C.) o dal fatto che l'intensificazione colturale sia avvenuta nel Lazio con ritardo rispetto al Medio Oriente dove le tecnologie idrauliche avevano da tempo avuto modo di affermarsi con imponenti realizzazioni di distribuzione irrigua.
Il De re rustica di L. G. M. Columella (attivo in Roma nel 41 a.C.) è il lavoro di uno studioso di agricoltura piuttosto che di un compilatore. Il trattato fornisce un panorama dettagliato delle conoscenze agricole del tempo. Columella, nel Cap. V del Lib. I scrive: "Paludi e strade militari non devono assolutamente essere vicine ai fabbricati. La palude esala d'estate un vapore nocivo e genera tutti quegli animaletti armati di pungenti aculei che poi volano a nuvole intere contro di noi: e produce tutte le razze di serpenti e di rospi, che, quando sono privi dell'umidità invernale, si spargono qua e là e bisogna dire che nascano davvero dal fango, perché spesso fanno venire malattie insidiose, di cui nemmeno i medici sanno trovare la causa". Egli fa chiaro riferimento al problema della malaria. Frequenti citazioni si ritrovano nel De re rustica riguardo le pratiche irrigua e del drenaggio per mezzo di fossi aperti e chiusi (Lib. II, Cap. Il)3
Vi è in sostanza materia più che sufficiente per ritenere che già in Catone non si parlasse di cunicoli non solo perché non più scavati, ma anche perché quelli esistenti erano fuori uso a causa del ridotto regime delle pioggie. Con l'aumento termico del IV-III sec. a.C., la malaria, non ancora endemica al tempo di Catone, diviene motivo di allarme per Varrone e vera e propria piaga sociale negli anni di Columella. Ciò porta ad affermare la inesistenza di qualunque connessione tra difesa antimalarica e drenaggio cunicolare: sul finire del millennio i cunicoli erano da tempo in disuso. Può caso mai sorgere un qualche dubbio sulle possibilità della diffusione della malaria in un periodo di inaridimento del clima, quando si sa che l'anofele trova il suo habitat ideale in aree umide. Il fatto è che l'anofele malarica, moltiplicandosi solo in ambienti caldo-umidi, trovava le condizioni ottimali con l'incremento termico associato all'inaridimento climatico della fine del millennio, e con l'ambiente paludoso umido localizzato nella fascia di accumulo delle acque di sgrondo montano a ridosso dello sbarramento operato dalle dune costiere.
Il medico greco Ippocrate di Cos (460-377 a.C. circa) è il primo a scrivere sulla malaria, con particolare riferimento al suo dilagare in Grecia e in Asia minore (Epidemia, Lib. I e II). Come evidenziato da W.H.S. Jones, R. Ross e G.G. Ellett (1907), il primo riferimento in latino si trova nel Curculio di T.M. Plauto (245-184 a.C.) in cui il servo Palinuro recita (Atto I, ver. 17):
... quand'è che t'è passata la febbre? ieri o ieri l'altro? ...
Un riferimento ancora più esplicito alla malaria è fatto dal commediografo latino P. Terenzio Afro (190-150 a.C.) nella conversazione tra Sostrata e Panfilo in Hecyra (Atto III, ver. 359):

So.: E che malattia è?
Pan.: Febbre.
So.: Continua?
Pan.: Così dicono.

I versi diventano più chiari se si ricorda che esistono tre tipi di parassiti malarici e corrispondenti febbri: la quartana con un accesso ogni tre giorni, la terzana, con un accesso ogni due giorni, e la quotidiana con accesso giornaliero. Va notato che la domanda di Sostrata, per l'esattezza "quotidiana" (lat. cotidiana), viene erroneamente tradotta continua privando l'aggettivo del suo significato di periodicità tipico della febbre malarica.
Dopo i due commediografi latini e Catone, è M. T. Cicerone (106-43 a.C.) a parlare di malaria. Contemporaneo di Varrone, che non tratta di problemi medici, Cicerone cita la febbre terzana e la quartana.
Il primo scrittore latino a citare la malaria in termini medici è A.C. Celsio nel 1 sec. a.C.
In conclusione si può affermare che:

Lo storiografo romano T. Livio (59 a.C. - 17 d.C.) è il primo a scrivere di cunicoli. Egli li descrive come tunnel scavati dai romani con lo scopo di penetrare segretamente nella città di Veio nel corso delle guerre di espansione (Ab urbe condita libri, Lib. V, Cap. XIX, XXI). Ma si tratta di argomento che esula dal nostro tema.

BIBLIOGRAFIA

- A. SECCHI: Intorno ad alcune opere idrauliche rinvenute nella campagna di Roma. Atti Acc. Pontificia Nuovi Lincei, Roma, 1876.

- W.H.S. JONES, R. ROSS, G.G. ELLETT: Malaria. A neglected factor in the history of Greece and Rome. McMillan and Bowey, London, 1907.

- F. RAVELLI, P.J. HOWARTH: Etruscan cuniculi: tunnels for the collection of pure water. International Commission on Irrigation and Drainage, New Delhi, Transactions of XII International Congress on Irrigation and Drainage, Fort Collins - U.S.A., vol. II, 1984; ed in versione italiana con alcune integrazioni al testo ed alla grafica, nella rivista "Irrigazione e drenaggio", XXXV, 1, Edagricole, Bologna, 1988.


1 Nella corrente accezione il termine drenaggio (in inglese drainage) assume in italiano un significato alquanto diverso da quello attribuitogli dall'inglese. Nella lingua inglese il termine drainage viene infatti usato per indicare la tecnica di allontanamento dell'acqua in senso lato, indipendentemente dall'obiettivo perseguito, sia questo cioè l'approvvigionamento idrico o la bonifica del terreno. In italiano, invece, il termine drenaggio è stato correntemente utilizzato fino a tempi recenti per indicare la bonifica del terreno mediante l'allontanamento di acqua a mezzo di condotte sotterranee (drenanti), lasciando ad altri termini del tipo captazione, emungimento, etc. il compito di indicare l'operazione di estrazione dell'acqua o altro. In altre parole vi è stata la tendenza dell'italiano a distinguere terminologicamente la operazione in cui il prodotto finale era l'acqua da utilizzare, da quella in cui il prodotto finale era il terreno prosciugato. Nell'italiano d'oggi la tendenza è quella di un uso generalizzato del termine drenaggio alla stregua dell'inglese.

2 Il gesuita Padre Angelo Secchi (1818-1878) fu direttore dell'Osservatorio del Collegio Romano cui fece acquistare fama internazionale nel campo della astronomia e in quello della geofisica. È il primo a interpretare i cunicoli laziali come opera di captazione idrica.

3 Notasi incidentalmente come l'importanza della logistica militare nel caratterizzare l'ambiente abbia indotto Columella ad associare paludi e strade percorse dall'esercito romano.